Secondo un’antica tradizione nel giorno della nascita di Cristo il frutto diventa albero, il vino l’uva, le parole cattive cercano bocche per contenersi, la musica di quelle buone trova riparo nel cuore della terra, la poesia infine diventa sangue e sudore che l’ha generata. Come un percorso a ritroso verso una natura e un’umanità manchevoli, poste al bivio della propria consistenza, povere di quella grazia che solo il figlio di Dio poi provocherà nel mondo, inventando un senso per ogni cosa.
Se anche oggi ci mancasse un poco della stessa speranza, la stessa dignità nel provocarci a vivere veramente, dovremmo credere sia cosa giusta che vastissime aree del mondo muoiano di fame e perseverino in un’agonia che è la base del benessere di poche altre, ben più circoscritte. Ci toccherebbe azzardare noi il senso di grandi scomodità, di paradossi univoci, quali la violenza che, ingrediente base dell’enorme surreality show del quale siamo partecipanti senza contratto a scadere, passa senza mezzi termini dalle risoluzioni dei governi più potenti a quella, magari più genuina nella sua crudezza, di casa nostra, delle cronache delle nostre periferie. A Napoli si potrebbe arrivare a proibire la fame e la sete perché non manchino il pane e l’acqua, ha detto qualcuno, e questo quando sempre di più si evidenzia l’immagine di una città che va contro se stessa, sopraffatta da mille contraddizioni, ferita dai propri eccessi.
E’ anche per questo che, giunto al suo terzo anno di replica, il concerto dell’associazione -di Musica in Musica- torna a rispondere alla nostra particolare necessità di ritrovarci a scoprire valori di una tradizione molto spesso dimenticata, che insiste in una direzione del tutto opposta a quella attuale. Un ricchissimo patrimonio, musicale e letterario, legato ad un autentico culto della parola in parte ancora vivo nell’entroterra campano, espressione di una cultura dell’oralità che filtra attraverso la speranza di sopravvivere al tempo.
Da questo orizzonte prevalentemente contadino sono desunti i racconti e alcune delle musiche, che attengono al repertorio tradizionale, mentre per le altre si è ricorsi ai prestiti, agli sviluppi, agli omaggi che a esso hanno reso molte composizioni di autori napoletani quali S. Di Giacomo, R. De Simone, A. Paliotti, e altri appartenenti a culture diverse.
Del resto è nell’antico rituale della natività, frutto del sentimento culturale e dell’autentico spirito religioso di un popolo, che potremmo idealmente associare Napoli ad altre zone del mondo che ne condividono le problematiche; la speranza con la quale un bambino viene fatto nascere, come il pane dalla terra, in un sudicio Conventillo di Buenos Aires o in una Posada malridotta di Città del Messico, avrà lo stesso abito di paradosso delle nostre periferie dove, purtroppo spesso, neanche l’infanzia viene rispettata.
Un vivo ringraziamento alla Curia Arcivescovile di Napoli, agli Enti Locali, al Centro Progetto Oasi, a Gennaro Vallifuoco per le immagini, alla SGS per la realizzazione grafica e a padre Mariano Imperato che ci accompagna e sostiene da sempre il nostro progetto.
“di Musica in Musica”